Tasso - La Gerusalemme liberata
La poetica: il verisimile, il giovamento e il diletto Partendo da Aristotele, Tasso afferma che la poesia tratta del verisimile, di ciò che sarebbe potuto venire. Per ottenere l’effetto del verisimile, deve trarre materia dalla storia, la sola che può dare la necessaria autorità a ciò che viene narrato, ma per distinguersi dalla storiografia, deve riservarsi una margine di finzione. A quell’epoca la poesia aveva compiti morali e pedagogici, Tasso riconosce che la poesia non può essere separata dal diletto, il diletto (piacere) deve essere finalizzato al giovamento (morale). Il diletto è assicurato dal meraviglioso , non quello fiabesco e fantastico del romanzo cavalleresco, che comprometterebbe il verisimile, ma un meraviglioso cristiano con cui risolve le situazioni tramite l’intervento divino, degli angeli, vi sono anche interventi delle potenze infernali, che appaiono verisimili al lettore in quanto fanno parte della verità della fede (significato anagogico).
La poetica: unità e varietà, lo stile sublime Il poema deve essere vario e contenere le realtà più diverse, ma il tutto deve essere legato in una struttura unitaria. Dei 3 livelli indicato dalla tradizione classica, sublime, mediocre e umile, quello che conviene al poema eroico è quello sublime. Le parole devono essere lontane dall’uso comune.
L’argomento e il genere Tasso abbandona i temi cavallereschi delle leggende carolingie, e si rivolge a una materia storica (la conquista del Santo Sepolcro ad opera dei crociati nel 1099). La necessità di una nuova crociata era un motivo che si era affiancato nella cultura occidentale sin dalla conquista turca di Costantinopoli 1453, diventato di estrema attualità con l’avanzata dei Turchi nel Mediterraneo nel secondo 500, con le incursioni dei pirati barbareschi che mettevano in pericolo le coste italiane e i commerci, soprattutto con la battaglia di Lepanto 1571, ai cristiani è sembrato di rivivere le crociate. La materia trattata da Tasso è costituita da una storia vera, seria, che deve stimolare la coscienza cristiana del pubblico dinanzi a problemi di grande urgenza, e, narrando lo scontro tra fedeli e infedeli con la vittoria della croce, spingere l’Occidente cristiano ad una riscossa. Tasso guarda al modello dei poemi epici classici, l’Iliade,l’Eneide. Oltre all’intento celebrativo delle idealità religiose, della maestosità della chiesa e dell’eroismo guerriero, il poeta mira a un fine didascalico (spiegare) e pedagogico (insegnare). Le bellezze poetiche servono solo ad allettare chi legge e a disporlo ad assimilare agevolmente la lezione morale di cui il testo è veicolo.
L’organizzazione della materia, struttura del poema “romanzo” cavalleresco caratterizzato da una pluralità di eroi e azioni, che si alternavano e intrecciavano fra di loro dando origine ad una struttura narrativa aperta. Tasso mirava a una rigorosa unità, secondo i precetti distinti da Aristotele. Anche se la materia è varia non vi è molteplicità di azione ma un’azione unica, costituita dall’assedio di Gerusalemme e dalla conquista del Santo Sepolcro, e vi è un eroe centrale Goffredo. Goffredo riesce a contrastare queste tendenze disgregatrici, garantendo l’unità del campo cristiano e con essa l’unità della struttura del poema. L’azione del Furioso non ha inizio ed ha una fine solo parziale. La narrazione della Gerusalemme è tutta rigorosamente chiusa entro i suoi termini estremi: tutto quanto precede l’arrivo dei crociati dinanzi a Gerusalemme non è rilevante per l’azione, e viene evocato solo di scorcio; dopo la conquista del Santo Sepolcro l’azione del poema non avrebbe più alcun motivo di continuare.
Gli intenti dell’opera Tasso si presenta come il perfetto poeta cristiano, il cantore degli ideali della Controriforma che dominano la sua epoca. Vuole essere il celebratore della maestà della vera religione e delle istituzioni della Chiesa che ne è depositaria, del potere regale assoluto che riceve la sua investitura direttamente da Dio. In Tasso vi è una volontà conformistica, di totale adeguazione ai codici dominanti della sua epoca. Con la Gerusalemme vuole dare non solo il perfetto poema cristiano secondo i canoni controriformistici, ossequioso verso la religione, il potere assoluto e la civiltà della corte, ma anche il perfetto poema epico in obbedienza all’autorità di Aristotele e alle leggi della sua Poetica.
La realtà effettiva del poema Da un lato Tasso contempla con ammirazione le scene in cui si manifesta la maestà del potere, dall’altro nel poema si tradisce l’incontenibile insofferenza che si è già sottolineata verso quanto nella corte vi è di rigido e artificioso, il peso dell’autorità. Gli intrighi, le finzioni, i conflitti. Il poeta si rifugia nel vagheggiamento idilliaco di un mondo di pastori remoto dalla storia e conforme solo alla natura, libero, semplice e autentico (come nell’età dell’oro, corte di Ferrara degli Estensi ai tempi di Ariosto), visibile nell’episodio del canto VII di Erminia fra i pastori. All’intento di costruire un’opera tutta ispirata ad un rigoroso didascalismo moraleggiante (spiegare le regole), che esalti il sacrificio dei guerrieri tesi al loro santo fine, si contrappone l’attrazione per il voluttuoso, per un amore svincolato da ogni legge morale, rivolto solo ad una ricerca del piacere dei sensi (Tasso vorrebbe esprimere i propri sentimenti, passioni, sentiva il richiamo dei sensi, del piacere, ma non può per la controriforma, allora deve fingere, utilizzando il bifrontismo e rendere sublime il poema: sublimazione istinto erotico). L’amore come voluttà o sofferenza, compromette il clima epico, in quanto impedisce ai guerrieri crociati di svolgere i loro compiti. Vi è l’immedesimazione emotiva del poeta nei suoi personaggi.
Il bifrontismo spirituale di Tasso La sublimità epica è continuamente negata nelle note idilliache, voluttuose e patetiche; la costruzione unitaria e centripeta è costantemente messa in pericolo da tendenze centrifughe, costituite dalle avventure individuali di eroi come Tancredi e Rinaldo, che si allontanano dal teatro della guerra per seguire i loro impulsi irrefrenabili, le loro aspirazioni individuali alla gloria e all’amore. Bifrontismo spirituale: contraddizioni non solo individuali del poeta, ma di tutta l’epoca. Bifrontismo da Giano bifronte, divinità minore romana che aveva una funzione apotropaica ( scacciare il malocchio).
I cristiani “erranti” I valori di individualismo, pluralismo, edonismo, si delineano anche nel campo di battaglia cristiano: alcuni eroi si sviano dal loro alto compito, e invece di subordinare ogni loro impulso al fine religioso perseguono fini di gloria mondana puramente individuale,o ricercano l’amore e il piacere dei sensi. Queste spinte dispersive sono sentite come errori, e sui traviamenti dei “compagni erranti” agisce la forza repressiva dei rappresentanti del codice cristiano, Goffredo e Pier l’Eremita, dell’autorità politica e religiosa che deve contenere ogni devianza, cadendo ai loro impulsi, i crociati “erranti” si collocano oggettivamente nel campo della paganità.
La struttura narrativa: reductio ad unum Tasso, respingendo la struttura tipica del “romanzo” cavalleresco, aspira, in obbedienza alle regole della poetica aristotelica, a costruire un’azione rigorosamente unitaria, concentrata intorno all’impresa dei crociati e alla figura di Goffredo; ma in realtà dalla linea centrale divergono molti altri fili narrativi, che fanno capo ai vari eroi sia cristiani sia pagani, protagonisti, sotto la spinta del desiderio di gloria o d’amore, di azioni fortemente individualizzate. Nn vi è in Tasso, come in Ariosto, una visione aperta che ammette tutte le forme del reale con pari dignità in nome di un libero pluralismo prospettico, ma una visione totalizzante, che però si scontra perpetuamente con tendenze di segno opposto, generando una conflittualità sempre in atto, dolorosamente sperimentata dal poeta.
Il punto di vista Poiché il poema vuole celebrare il trionfo della religione cristiana sul mondo pagano, concepito come emanazione delle potenze demoniache. Ci si aspetterebbe chi i pagani non fossero mai soggetti della visione, ma sempre e solo oggetti. Invece il punto di vista della narrazione è continuamente mobile e si colloca alternativamente nel campo cristiano e in quello pagano. Anche i pagani sono caratterizzati da una profondità psicologica, che conferisce loro dignità narrativa. Il fatto che “l’altro” , il nemico, possa affermare nella narrazione il suo punto di vista è il segno rivelatore della dignità che il poeta gli conferisce, anzi, della segreta attrazione che prova per lui e per ciò che significa.
L’organizzazione dello spazio Lo spazio orizzontale del Furioso implica una visione laica, rinascimentale, in contrapposizione allo spazio verticale e alla visione trascendente della Commedia. Nella Gerusalemme si intersecano uno spazio orizzontale, teatro di scontro tra cristiani e pagani, e uno spazio verticale, diviso in 2 piani contrapposti, il cielo e l’inferno. Lo spazio verticale è fortemente polarizzato secondo un’opposizione di valori: cielo e inferno rappresentano il bene e il male, l’autorità di Dio ordinatrice dell’universo e la pluralità immonda delle forze demoniache. Lo spazio orizzontale è ugualmente polarizzato, tra Gerusalemme, sede dei pagani, e il campo dei crociati che la fronteggia: anche qui, l’opposizione spaziale traduce in termini sensibili l’opposizione di valori, tra bene e male, molteplice e uno. Lo spazio terrestre è anche uno spazio limitato quantitativamente: la breve estensione in cui si collocano la città assediata e l’accampamento crociato è il centro dell’azione, in cui si svolge la parte preponderante degli eventi narrati. Nn si ha più lo spazio infinitamente vario del Furioso. I luoghi centrifughi sono quelli verso cui si dirigono i personaggi che, spinti dalla forza del desiderio individuale, si allontanano dal centro della guerra. Rinaldo è l’eroe che trasgredisce più a fondo, mentre Tancredi è sempre in bilico tra fedeltà al dovere e sviamento, senza mai cedere del tutto. Rinaldo conoscerà la purificazione totale, Tancredi, invece, nn approderà mai a un definitivo ravvedimento e lascerà la scena in una condizione incerta e sospesa. Gli spazi eccentrici (dove si perdono gli eroi), a differenza del Furioso, nn arrivano mai a disgregare l’unità spaziale, così come le azioni centrifughe nn dissolvono interamente l’unità strutturale del poema: essi finiscono per essere neutralizzati o cancellati.
Il tempo Lo sviluppo temporale è unitario, vi si inseriscono solo dei brevi flash-back, per informare sulle vicende degli eroi che si sono allontanati dal campo. Si tratta anche di un arco temporale limitato entro stretti confini: Tasso non narra tutta la prima crociata, a partire dal suo inizio, ma si concentra solo sul breve periodo finale e risolutivo. Modello classico dell’Iliade, in cui si narra solo una fase dell’assedio di Troia, quella culminante con la morte dell’eroe troiano Ettore.
Protagonisti Gerusalemme Tancredi che rappresenta Tasso in quanto sempre dubbioso; la città di Gerusalemme simbolo di tutte le religioni; la Provvidenza; Goffredo è il capo della crociata; Rinaldo giovane cristiano scelto da Dio.
Epoca storica Gli artisti sono manieristi. Dopo il concilio di Trento 1545-63 vi è la controriforma. Gli artisti non sono più liberi e devono sottostare al comando della Chiesa. L’inquisizione romana controllava la cultura, attraverso anche la pubblicazione dei libri. Viene istituito l’ordine dei Gesuiti che risiedevano nelle corti e controllavano la morale. Vengono scartate le accademie platoniche, laiche e materialiste, ritornano quelle aristoteliche che mettono Dio,la teologia, al centro.
Torquato Tasso Nasce a Sorrento nel 1544. Gira per le corti con il padre Bernardo Tasso, rettore e grammatico, vero cortigiano, quindi visita tutte le accademie aristoteliche. A 15 anni inizia a scrivere un poema Gierusalemme, lo riscrive e lo chiama Rinaldo facendolo diventare un poema cavalleresco, pubblicato nel 1561. nel 1565 entra nella corte di Ferrara a servizio di Luigi D’Este, il principe è Alfonso II, vi entra come accademico. Nel 1569 muore il padre ed inizia la sua malinconia. Nel 1572 entra al servizio del Duca Alfonso II. Nel 1573 scrive il dramma pastorale Aminta (modella Arcadia di Sannazzaro). Nel 1575 riscrive il poema che chiama Goffredo ( Goffredo Buglione) con cui ritorna dentro alle regole morali, dopo averle trasgredite con l’Aminta. Dal 1575-79 comincia ad avere dubbi sul poema e decide di riscriverlo; dubbi estetici, riguardanti la grammatica, ha paura che il suo poema sia troppo libero; dubbi religiosi, ha paura di non rispettare le 3 regole aristoteliche (unità di spazio,tempo,azione) e di aver fatto un poema dove si insegna solo a trasgredire, di aver esagerato troppo con l’amore e che assomiglia al Furioso. Tasso si sottopone all’inquisizione romana, viene assolto e pensa di essere stato favorito, così si deprime perché non si sente capito dalle istituzioni. Tasso è ossessionato dal comporre un poema d’arte che sia gradito al potere, vuole essere un cortigiano, ma soffre perché non è capito dai principi e ha paura di tutto. Nel 1577 tasso, convinto di essere spiato quasi uccide un servo. Viene rinchiuso nel convento di San Francesco a Ferrara. Nel 1579 scappa e va a Sorrento dopo 25 anni. Mette alla prova la sorella per vedere se gli vuole bene. Torna a Ferrara nel mezzo delle nozze tra il Duca Alfonso II e la principessa margherita Gonzaga. 1579-86 fase peggiore della malattia. Viene rinchiuso nell’ospedale di Sant’Anna perché da fastidio, faceva fare brutta figura, comincia ad essere scomodo. La corte di Ferrara era sotto controllo perché sospettata di eresia. Della corte vi faceva parte Renata di Francia che ospitava calvinisti, circolava molta libertà. Nel 1580 viene pubblicata la 1° edizione della Gerusalemme liberata da Celio Malespini. Nel 1581 2° edizione a cura di Angelo Ingegneri, diventa un grandissimo successo, diventa il poema cattolico di fine 500. Nel 1586 Tasso viene liberato e trasferito alla corte di Mantova dai Gonzaga. Dal 1587 al 1595 riscrive totalmente il poema e lo chiama La Gerusalemme conquistata. Toglie tutti i doppi sensi erotici, modifica lo stile che diventa solenne, adatto alla guerra santa, aggiunge episodi morali a scopo didascalico. Nel 1595 muore a Roma.
Analogie con Divina Commedia: tema religioso; viaggio verso Gerusalemme, viaggio di purificazione; tema politico; aristotelismo/tomismo, unità spazio, tempo.
La parentesi idilliaca di Erminia Erminia, principessa pagana segretamente innamorata di Tancredi, ha assistito dall’alto delle mura di Gerusalemme al duello dell’amato con Argante ed è angosciata nel saperlo gravemente ferito. Vestita delle armi di Clorinda,esce nottetempo dalla città per raggiungerlo e curarlo. Ma, quando è già in vista del campo cristiano, vien sorpresa da una pattuglia di crociati, che hanno scorto il riflesso della luna sulla sua armatura. Erminia si dà perciò precipitosamente alla fuga nella foresta. Erminia e Angelica : l’episodio si articola in 3 sequenze. La fuga di erminia(ottave1-4), il suo incontro con i pastori(5-16), e la descrizione della sua vita nell’ambiente pastorale(17-22). La prima sequenza rivela la presenza del modello ariostesco, la fuga di angelica. Ma il clima è diverso: angelica passava dal ruolo della vittima a quello della scaltra calcolatrice, erminia invece è la fanciulla timida e smarrita. angelica offriva ad ariosto l’occasione per la sua riflessione lucida distaccata sulla mutevolezza del mondo, la fuga di erminia invece ha la funzione di introdurre una nota patetica,che suscita l’identificazione emotiva del poeta. Un momento di fuga fantastica: vi è una variazione tonale tra idillio e guerra. nel Furioso vi era una grande varietà di toni che tendevano a comporsi in armonico equilibrio. Nella Gerusalemme invece non vi è armonia ma tensione tra i toni diversi. La pausa idillica di erminia si contrappone al clima guerresco. L’episodio di erminia non appare funzionale alla struttura dell’intreccio,in esso introduce un’interruzione. Il personaggio di erminia ha un valore autobiografico:nell’anima tormentata che trova la pace nell’idillio pastorale il poeta proietta se stesso e le proprie aspirazioni ad un rifugio di serenità. Il tema idillico-pastorale nel Cinquecento: l’episodio di erminia è un sogno evasivo. L’idillio si caricava del bisogno di evasione a contatto con la natura che era proprio degli ambienti dei cortigiani. Tale bisogno diviene più intenso nel 500, quando la vita delle corti si irrigidisce. Alla vita artificiosa delle inique corti si contrappone l’immagine mitica di una vita semplice e autentica. La vita pastorale e il personaggio di Erminia: vi è un mutamento di ritmo narrativo in quanto no contano più le azioni esteriori di erminia ma ciò che si svolge nella sua anima. Ella è un personaggio che vive nella propria interiorità, non agisce nella realtà esterna. Compare in scena nell’atto di abbandonarsi a sogni e fantasie. In queste reveries la fanciulla immagina che l’uomo amato si commuova alla vista della sua sepoltura. Parallelo con dante: in quanto sono caratterizzati da caratteri religiosi,viaggio verso la purificazione,il tema politico e polemizzano una corte riformata. Dante segue la filosofia aristotelica, anche tasso,con il dominio della religione, anche se al tempo andava di più il platonismo,apparentemente metafisica ma in realtà materiale(angelica sembra divina ma ha aspetti estremamente concreti).
Proemio Il proemio della Gerusalemme liberata ricerca puntualmente lo schema fissato dalla tradizione epica ed è ripartito in tre momenti: l’esposizione dell’argomento del poema (ottava 1), l’invocazione alla Musa (ottave 2-3), la dedica al signore, che introduce il motivo encomiastico (ottave 4-5).La prima ottava: i temi del poema: Il proemio costituisce un’insostituibile chiave di lettura del poema, poiché fornisce tutta una serie di preziose indicazioni sulle sue tematiche, sulla sua organizzazione interna e sui principi di poetica che lo ispirano. Il verso iniziale, “Canto l’arme pietose e ‘l capitano”, è la ripresa esatta dell’inizio dell’Eneide virgiliana, “Arma virumque cano”: già questo solo fatto ci fa capire come Tasso voglia adeguarsi puntigliosamente al modello del poema epico classico che, nelle discussioni contemporanee, veniva contrapposto al modello del “romanzo” cavalleresco di Ariosto. Una conferma viene dalla formula “arme pietose”. Nel verso d’esordio del Furioso compariva la coppia “l’arme, gli amori”, caratteristica della tradizione cavalleresca; Tasso invece si concentrava solo sul tema più alto e sublime, la materia guerresca, e non menziona più gli “amori”. L’amore è ancora largamente presente alla Gerusalemme, ma non è più il motore principale dell’azione, come era nei poemi di Boiardo e Ariosto, anzi è declassato a ostacolato, è la principale di quelle forze disgregatrici che si oppongono all’impresa dei crociati e li sviano dal loro compito. Denso di significato è poi l’epiteto “pietose”: mentre le imprese guerriere degli eroi ariosteschi erano indirizzate essenzialmente a un fine individualistico, la conquista della donna, o di un’arma, o della gloria personale, le armi degli eroi tassiani sono del tutto subordinate a un fine collettivo e di alto valore religioso, che supera quelli individuali, la liberazione del Sepolcro.In questa prima ottava, in cui è sintetizzato l’argomento del poema, si può vedere inscritta tutta la sua tematica e la sua stessa struttura ideologica portante. Vi si delinea infatti il conflitto che lo informa, articolato su tre livelli, come ha ben indicato Zatti: 1) il cielo contro l’inferno, l’autorità di Dio che doma le forze di Satana; 2) le “arme pietose” dei crociati contro il “popol misto” dei pagani; 3) il “capitano”, depositario del codice cristiano dell’unità, contro i “compagni erranti”, che sono dispersi dalle forze centrifughe dell’amore, dell’onore, della gloria, e che si collocano anch’essi nel campo negativo del molteplice, come i pagani. La poetica: Le due ottave seguenti, dedicate all’invocazione alla Musa, contengono fondamentali indicazioni di poetica. Si nota la volontà di conciliare il classicismo con la religiosità controriformista. Il poeta invoca sì la Musa, come esigono le regole del classicismo e l’ossequio ai modelli antichi, ma si affretta a precisare che non è la Musa pagana, bensì una pura allegoria dell’ispirazione che viene dal cielo al poeta cristiano.Il riferimento a questa ispirazione religiosa (“celesti ardori”) fa emergere in primo piano un conflitto, quello tra il “vero” e i “fregi” con cui il poeta lo adorna, tra il diletto e il fine morale della poesia. Secondo l’austera concezione controriformistica dell’arte, che le assegna finalità pedagogiche e edificanti, compito del poeta sarebbe diffondere esclusivamente il “vero”, cioè la verità della religione e i precetti della morale, guardando con diffidenza le finzioni e le bellezze estetiche della poesia, che sono destinate a provocare piacere e perciò possono indurre al peccato. Ma il poeta deve fare i conti con i lettori e i loro gusti: il pubblico legge i poemi per ricavarne piacere e vi ricerca argomenti e forme gradevoli, allettanti, perciò chi scrive poesia non può non porsi come fine anche il diletto. Tasso supera la contraddizione subordinando il diletto al vero: l’austera materia morale, che respingerebbe i lettori, diviene accettabile se “condita in molli versi”, rivestita cioè delle forme allettanti della poesia. Questa con la sua dolcezza e gradevolezza diviene veicolo di precetti e edificanti insegnamenti. In questa luce il meraviglioso, l’amore, l’avventura, l’idillio, a livello dei contenuti, le belle immagini e la musicalità del verso, a livello formale, diventano strumenti per la diffusione di messaggi morali e religiosi.Il poeta “peregrino errante” e la corte: Nella terza sezione del Proemio, quella encomiastica (ottave 4-5), emerge in primo piano un’immagine che il poeta ama spesso dare di sé, quella del “peregrino errante”, perseguitato dalla fortuna e dalla sventura. Si delinea così un opposizione tra la sua esistenza errabonda e instabile e la corte, vista come rifugio sicuro, garanzia di stabilità. Sono i due poli costituivi di tutta l’esperienza tassiana, il conformismo e l’irregolarità, tra cui si muovono due forze contrarie, quella centripeta che porta il poeta a inseguire la gloria e il successo, a inserirsi nelle strutture della corte, a ossequiare le norme della Chiesa controriformistica, e quella centrifuga che lo induce all’inquietudine perenne, alla malinconia, alla fuga, sino al limite estremo della follia. In questa luce la figura del signore, che benevolo accoglie il “peregrino errante”, assume il valore di un’immagine paterna e rassicurante, evocata dagli stessi conflitti profondi del poeta.
La morte di Clorinda Clorinda e Argante sono usciti nottetempo da Gerusalemme per incendiare la torre mobile con cui i crociati hanno dato l’assalto alle mura. Riuscita l’impresa tentano di ricoverarsi nuovamente in città, ma Clorinda, mentre sta per rientrare, è ferita dal guerriero cristiano Arimone e si volge per punirlo. Le porte intanto vengono serrate e Clorinda resta esclusa.Il gusto dell’ambiguità e l’identificazione emotiva: Nell’impostazione dell’episodio è insita una fondamentale ambiguità, tra desiderio e crudele violenza, tra amore e morte. I due protagonisti dovrebbero amarsi, mentre inconsapevolmente si odiano e si causano sofferenza, e addirittura la morte. Emerge qui il gusto compiaciuto di Tasso per l’ambiguità, per le situazioni duplici e ambivalenti, intimamente conflittuali. L’ambiguità della situazione è vagheggiata con segreto compiacimento. Il segno rivelatore della partecipazione soggettiva dell’autore sono gli interventi della voce narrante. Queste intrusioni del narratore hanno nella Gerusalemme una funzione diametralmente opposta a quella che avevano nel Furioso: per Ariosto erano strumenti dello straniamento, segnavano il distacco dell’autore dalla materia, che era presa come punto d’avvio della riflessione lucida e disincantata sul reale; in Tasso invece testimoniano l’impostazione tutta soggettiva del racconto, il fatto che l’autore nei suoi personaggi proietta se stesso. Questo gusto per l’ambiguità e questa immedesimazione emotiva rivelano una sensibilità nuova, più sottile e tormentata di quella della letteratura del primo Rinascimento, un affiorare di brividi e inquietudini, che sono il riflesso di un momento di crisi della civiltà.L’atmosfera notturna in cui si svolge il duello è lo scenario più coerente con questa inquieta sensibilità. Tasso, come anche la pittura manieristica del suo tempo, ama l’ombra, che è misteriosa, avvolgente, indistinta, e vela di ambiguità il reale. Se la luce piena può tradurre simbolicamente la fiducia nel dominio razionale sul mondo, le tenebre notturne amate da Tasso sembrano simboleggiare una crisi della ragione.Il “bifrontismo” di Clorinda: L’episodio è nettamente bipartito in due sequenze: la prima è costituita dal duello, la seconda dalla morte dell’eroina. In questa seconda sequenza la figura di Clorinda subisce una radicale trasformazione: la feroce guerriera, che affrontava impavidamente l’avversario e si rileva dura e barbarica nel respingere ogni attenuazione cavalleresca della crudeltà della lotta, si trasforma in una delicata fanciulla. Ciò che sin qui ha caratterizzato Clorinda è il rifiuto della propria autentica identità. Ora Clorinda maschera la sua autentica essenza, riacquista la sua identità e viene a coincidere con la sua vera immagine femminile. Ciò è sottolineato da un ricupero del corpo, della fisicità, che prima era ignorata e negata: per questo ora la voce narrante insiste sul “bel sen”, sulle “mammelle”, sulla “tenera e leve” veste che le stringe, sul “bianco volto”. Inoltre la trasformazione dell’eroina è duplice: non solo essa riacquista la sua femminilità, ma scopre la verità della religione cristiana ed è intimamente rinnovata dalla Grazia: Clorinda ritrova il corpo e la dimensione della fisicità proprio nel momento in cui la morte la libera dalla fisicità per innalzarla in un’altra dimensione, quella puramente spirituale.Non bisogna però commettere l’errore di credere che questa ambiguità sminuisca la forza poetica dell’episodio: al contrario è proprio l’ambiguità che gli conferisce suggestive profondità
Il giardino di Armida oggetti simbolici: -specchio: simboleggia il peccato, Armida si specchia perché è satanica, e lo usa per accecare Rinaldo, che deve sentire il piacere; -scudo: ci si può specchiare, c’è la croce (specchio crociato) Rinaldo è indebolito, effeminato, scappa con Carlo e Ubaldo e lascia Armida, guardandosi allo specchio. Il traviamento di Rinaldo: L’episodio del giardino di Armida segna una svolta determinante nella costruzione del poema. Rinaldo è un personaggio che ha una funzione centrale all’interno di essa: è l’eroe sin dall’inizio predestinato a vincere il male, gli incantesimi dei pagani, e ad assicurare la vittoria della causa cristiana, ma è anche destinato ad allontanarsi dal modello unitario del codice cristiano e a sperimentare l’universo pagano, caratterizzato dalla trasgressione: in nome del suo onore personale cede agli impulsi dell’ira, che lo portano ad uccidere un compagno e a fuggire dal campo, disgregando l’unità delle forze crociate, ma, più ancora, subisce le seduzioni di Armida e si fa avvolgere dalle insidie della sensualità. Il conflitto tra i due codici culturali diviene un conflitto interno alla personalità di Rinaldo: si urtano in lui la forza centripeta della missione militare-religiosa e quella centrifuga degli impulsi edonistici privati. Con il prevalere del secondo codice Rinaldo perde la sua identità di forte guerriero e viene assorbito dall’universo pagano, e finisce per identificarsi con “l’altro”: profumato, effeminato, diventa in tutto simile ad Armida. Ma l’episodio del giardino è l’ultima vittoria del codice pagano nel poema, che è destinato ad essere sopraffatto dal trionfo del codice cristiano. Con la liberazione di Rinaldo il conflitto di codici viene a cessare e comincia il processo di affermazione di quello cristiano, destinato ad avere la meglio e a cancellare quello antagonistico. La fase immediatamente successiva sarà la purificazione di Rinaldo sul monte Oliveto, grazie alla quale l’eroe diverrà pronto a vincere gli incantesimi demoniaci della selva e a consentire la vittoria dei crociati. Il giardino e l’edonismo rinascimentale: l’episodio riportato si può dividere in 3 sequenze: 1) la descrizione del labirinto e del giardino incantato; 2) la scena degli amori di Rinaldo e Armida; 3) la scena in cui Carlo e Ubaldo riportano Rinaldo al suo dovere. Il giardino, con il suo proliferare lussureggiante di vegetazione rappresenta gli istinti pagani, edonistici e peccaminosi, che si sottraggono al controllo della ragione cristiana. La descrizione riprende un motivo caro alla letteratura rinascimentale, che ama proiettare nell’immagine del giardino ameno una visione edonistica della vita. Ricorrono nella descrizione del giardino di Armida i motivi obbligati del locus amoenus, ricca vegetazione, acque limpide, canto di uccelli, ma il giardino tassesco si caratterizza per una più accentuata sensualità, proprio perché si carica di una serie di significati simbolici e moralistici e diviene il luogo per eccellenza dello sviamento dell’eroe. Il canto del pappagallo esplicita il significato pagano del giardino: l’invito a cogliere la rosa prima che sfiorisca riprende una tematica tipica dell’edonismo e del naturalismo rinascimentali. L’intendo del poeta è evidentemente presentare in una luce negativa, in obbedienza al rigido moralismo controriformistico, l’edonismo paganeggiante di cui il giardino è concreta trascrizione. In realtà, secondo un meccanismo abituale, il linguaggio poetico di Tasso nega per affermare: la negazione moralistica è ciò che legittima l’emergere nel racconto di tematiche inquietanti e respinte dalla coscienza. La tematica del giardino ameno è molto vicina al clima dell’Aminta. La liberazione di Rinaldo: Ciò che caratterizza il palazzo fatato e il giardino in esso contenuto è la circolarità e la chiusura alla realtà esterna: lo spazio chiuso e circolare allude alla segregazione dell’eroe fuori dal mondo, lontano dalla storia dove dovrebbe svolgere il suo compito di crociato. Lo spazio circolare che esclude Rinaldo dall’azione lo obbliga all’eterna ripetizione degli stessi gesti, fuori dallo scorrere del tempo. Questa ripetizione sempre identica della vita di Rinaldo è interrotta dall’ingresso in scena di Carlo e Ubaldo, che sono la negazione in atto del giardino e di ciò che esso rappresenta. Alla mollezza dell’abbandono sensuale oppongono la rigidezza della razionalità, repressiva nei confronti di ogni impulso incontrollato. Inoltre i due crociati vengono dallo spazio esterno, e rappresentano la storia e i suoi obblighi. A partire da questo punto l’immobilità entro lo spazio circolare è rotta da un rapido movimento rettilineo: Rinaldo esce dal perimetro del palazzo, raggiunge la riva, solca al volo le acque dell’oceano e del Mediterraneo sulla nave della Fortuna, sino a giungere a Gerusalemme. Si ha quindi una significativa opposizione spaziale, circolare vs rettilineo.Il ritmo narrativo: Le prime due sequenze sono statiche: puramente descrittiva la sequenza del giardino, pressoché priva di movimenti quella in cui Rinaldo e Armida si contemplano statici. L’ingresso in scena di Carlo e Ubaldo dà origine invece a un intenso dinamismo.
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